A un anno di distanza dalla prematura scomparsa di Mihajlovic, il toccante ricordo della moglie Arianna commuove i tifosi
Sembra ieri ma è trascorso già un anno da quando Sinisa Mihajlovic ci ha lasciati. Il serbo è stato strappato all’affetto dei suoi cari dalla leucemia.
Un anno è passato dalla sua scomparsa ma il suo ricordo è ancora vivo nel cuore dei tifosi delle squadre di cui ha vestito i colori come calciatore prima e poi come allenatore.
D’altra parte, come sottolineato dal Commissario tecnico della Nazionale, Luciano Spalletti, Sinisa Mihajlovic ha lasciato un vuoto enorme in quanto la sua prematura scomparsa ci ha privati di un “avversario leale che aveva a cuore l’impegno sportivo. Il gioco e la bellezza del calcio per lui erano centrali“.
Non solo per la grinta che metteva in campo e per le sue micidiali punizioni di cui detiene il record (28) in Serie A, in coabitazione con Andrea Pirlo, ma anche il primato di tre gol su punizione siglati in un singolo match, Lazio-Sampdoria del 13 dicembre del 1998.
Sinisa Mihajlovic ci manca, come testimoniano le parole di Spalletti, anche perché era un vero uomo di sport, un appassionato del calcio al quale ha dedicato tutta la vita. Perciò il dolore per la sua dipartita a un anno di distanza è ancora lancinante, a maggior ragione per Arianna Rapaccioni, sua moglie e madre dei suoi figli.
Mihajlovic, il ricordo straziante di Arianna: “L’ultima notte eravamo tutti lì”
La vedova di Mihajlovic in una toccante intervista concessa al ‘Corriere della Sera’ ha ripercosso gli ultimi giorni di vita dell’ex campione serbo: dalla sentenza di morte dei medici arrivata nell’ultimo mese (“Nell’ultimo mese i medici mi hanno detto che sarebbe morto“), e taciuta a Sinisa per non togliergli l’ultimo barlume di speranza, all’ultima notte.
Pochi giorni prima della sua morte Sinisa era ricoverato in ospedale e al suo capezzale si alternavano per vegliare su di lui i suoi più stretti familiari ma, quasi come per un intervento divino, “l’ultima notte, invece, eravamo tutti lì. Eravamo tutti in silenzio attorno a lui. Gli ho tenuto la mano, l’ho visto lottare col respiro sempre più pesante. Mi è venuto da dirgli: vai, non ti preoccupare, ai ragazzi ci penso io. Solo a quel punto è spirato”.
Così muore un campione ma ci consola il fatto che, come insegnava Sant’Agostino (“La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto“), Sinisa non se n’è davvero andato, ha solo abbandonato la panchina per scendere negli spogliatoi…